Pubblichiamo per gentile concessione del quotidiano “La Verità”
Come spesso diciamo, al peggio non c’è mai limite! Ieri il nostro Paese ha scritto un’altra brutta pagina della propria storia: il primo caso di “suicidio medicalmente assistito”. E’ accaduto a Sinigaglia, nelle Marche, vittima un paziente colpito da tetraplegia post-traumatica: condizione clinica di gravissima disabilità (paralisi dei quattro arti) ma con condizioni vitali assolutamente stabilizzate, senza l’ausilio di alcun sostegno meccanico (respirazione e alimentazione/idratazione).
Dunque, nulla a che fare con il cancro, con le malattie neurodegenerative e con la cosiddetta “fase terminale”. Perché si tratta di una pessima pagina della nostra storia? Per una ragione molto semplice e chiara: stiamo imboccando la strada per la quale la giurisprudenza, ora, e la legislazione, domani (speriamo mai!) invece di chiedere ed esigere con forza che tutte le persone disabili e sofferenti vengano aiutate, sostenute, accompagnate ogni giorno ad affrontare le indubbie sofferenze legate al loro stato, propongono e concretizzano l’eliminazione del sofferente. Invece di affrontare con coraggio e umanità il problema, si sta scegliendo la strada di eliminare la fonte stessa del problema. Penso che la disumanità e l’inciviltà di questo “suicidio legale e di stato” sia sotto gli occhi di tutti.
Immagino già la domanda che il lettore si sta facendo: “Se una persona soffre e chiede di essere aiutata a morire, che alternativa ha se non chiedere, appunto, di farla finita?”. Proprio qui sta il punto: l’alternativa c’è, esiste, e si chiama “medicina palliativa”, la cui fondatrice, Cicely Saunders, chiamò “la terza via”, fra i due estremi – entrambe da condannare – dell’accanimento terapeutico e dell’eutanasia. Cure palliative significano presa in carico totale della persona malata e dei suoi familiari, affrontando insieme tutti gli aspetti della vita quotidiana, da quello medico, a quello sociale, psicologico, affettivo e spirituale. Posso affermare da medico che da oltre 40 anni ha quotidianamente a che fare con le forme più gravi di malattie e disabilità, senza tema di smentita, che chiunque entra nel percorso delle cure palliative si sente amato, sorretto, aiutato, compreso e condiviso, e non chiede di essere ucciso!
La relazione di cura non è solo la sedazione del dolore, ma è condividere la “sofferenza” come si condivide un sentiero impervio in montagna: ci si aiuta, ci si dà una mano, non ci si abbandona e, insieme, si affronta ogni problema. Nella quasi totalità dei casi, la richiesta di “farla finita” è assente in chi ha la possibilità di essere adeguatamente curato in un hospice, in reti territoriali domiciliari valide di cure palliative. Sorge spontanea una domanda: se l’assunto di partenza è dare sollievo alla sofferenza, perché lo Stato non investe in un programma di cure palliative, serio, competente, adeguato, disponibile in ogni territorio del nostro Paese? Perché è stata scritta un’ottima legge sulla Medicina Palliativa (legge 38/2010) e non è stata adeguatamente finanziata (il 20% di quanto sarebbe necessario!) provocando disparità sanitarie inaccettabili da regione a ragione? Perché in Lombardia ci sono 69 Hospice, in Puglia 10, in Campania 8 (SDA Bocconi, 2017)? Perché a fronte di un tasso di bisogno di cure palliative (posti letto e presidi territoriali domiciliari) l’offerta reale è fra il 10 e il 26%?
Siamo in pieno dibattito parlamentare sul tema della “morte volontaria medicalmente assistita” e con il ddl Bazoli/Provenza, già approvato alla Camera, si sta aprendo la strada alla “morte di Stato” e non sentiamo parlare di una nuova politica sanitaria che davvero si prenda carico delle gravi disabilità, senza nascondersi dietro l’ipocrita giustificazione che “è il malato che sceglie se vivere o morire”. Perché nessuno vuole morire, così come nessuno vuole soffrire: la risposta c’è e non è uccidere – anche qui dietro l’ipocrisia del “suicidio” – il sofferente. Una società che voglia essere davvero civile non può inaugurare la “moderna rupe Tarpea” del suicidio medicalmente assistito.
Accadrà anche nel nostro Paese quanto già accade in Olanda o Belgio: la legalizzazione della morte di Stato per qualsiasi motivo … basta richiederla; oppure come sta accadendo nel Regno Unito, ove un giudice decide se un bimbo gravemente malato è degno di vivere oppure no. Con il solito trionfo dell’ipocrisia, arma sicura che mettere tranquille le coscienze: il “miglior interesse” del bimbo … essere ucciso, anche contro il volere dei genitori. Fermiamoci, finchè siamo in tempo.
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