Sta proseguendo il percorso di approvazione dell’eutanasia. Non è solo il cammino parlamentare – che forse sarà rallentato dalle elezioni anticipate – a preoccupare; ancor più insidioso è il sottile convincimento che continua a farsi strada che si tratti di una battaglia di civiltà, che pensare bene dell’eutanasia e del suicidio assistito sia la caratteristica di una mentalità moderna e aperta, amante della libertà e rispettosa delle convinzioni altrui.
Ecco questo oggi è l’imbroglio maggiore, che condiziona pesantemente tutta la comunicazione relativa a questo enorme argomento.
Anche le recenti notizie che arrivano dal Regno Unito, di giudici che vogliono imporre l’eutanasia ad un ragazzino di 12 anni gravemente disabile, anche contro il parere dei genitori, ci mostrano che la morte procurata sembra il rimedio ad ogni male.
È dunque utile riflettere sulle drammatiche conseguenze che possono derivare dall’approvazione, legale o solo culturale, di qualsiasi deroga alla difesa della vita senza eccezioni.
Un aspetto decisivo è il venir meno, in una mentalità eutanasica, della solidarietà tra generazioni. Spesso ci si lamenta che l’epoca moderna, più di altre, sia caratterizzata dalla incomprensione tra genitori e figli. La disistima fino al rifiuto della figura paterna ha assunto, negli anni della cosiddetta ‘contestazione giovanile’, una estensione rilevantissima, causando un autentico terremoto sociale. Ogni autorità, ma anche ogni autorevolezza, si è indebolita, mentre un patetico giovanilismo ha permeato quasi ogni ambito: seppure ogni generazione conosca una fisiologica reazione di crescita individuale e sociale, negli anni del ‘sessantotto’ si è consumata una vera rivoluzione volta a scardinare il dipanarsi dei lasciti culturali e sociali da una generazione alla successiva. Ognuno ha preteso di ricominciare daccapo, nella sua personale lotta per la propria vita. Ancora di più: rifiutare il ‘padre’ ha intenzionalmente inteso mettere in discussione la dimensione creaturale della persona umana, per affermare un supposto ‘diritto’ ad essere regola per sé stessi.
Ecco servita la definitiva rottura del patto intergenerazionale: se non c’è legame tra chi genera e chi è generato, nessuna regola può istituirlo. Se il mondo deve “andare avanti”, in una inarrestabile avanzata che non conosce altra dinamica se non il ‘progresso’… allora i disabili, i bambini, i vecchi sono ‘impicci’ di cui liberarsi per avere maggiore ‘libertà’.
La normalizzazione della stessa idea di eutanasia è la cesoia più efficace per interrompere legami che si suppongono come legacci, per negare un dovere di responsabilità tra chi è forte e in salute verso chi è debole e incapace. Rifiutare di farsi carico delle difficoltà, invocando la morte come il miglior interesse di chi soffre, o di chi si crede che soffra!, è il supremo atto di egoismo mascherato “da una presunta pietà”.
Pensiamoci, se e quando dovremo, di nuovo, offrire ad un mondo disperato qualche buona ragione per non imboccare falsi percorsi di morte.
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