FAQ – Eutanasia
L’eutanasia è un’azione od omissione che di natura propria procura la morte del malato.
2 – Qual è la differenza tra eutanasia attiva ed eutanasia passiva?
L’eutanasia attiva determina o accelera la morte mediante il diretto intervento del medico, utilizzando farmaci letali.
L’eutanasia passiva determina la morte dell’individuo attraverso la sospensione della terapia o l’astensione del medico dal compiere interventi che potrebbero prolungare la vita.
Sono entrambe allo stesso modo inaccettabili in quanto producono lo stesso effetto.
3 – Cos’è il suicidio assistito?
È l’atto mediante il quale l’individuo si procura la morte grazie all’assistenza del medico che prescrive i farmaci necessari e lo istruisce circa la modalità di assunzione. È una forma ipocrita di eutanasia, nella quale semplicemente viene a mancare l’atto diretto del medico nella somministrazione dei farmaci.
4 – Cosa sono l’accanimento terapeutico e l’insistenza terapeutica?
In base alla definizione del Codice di Deontologia Medica, l’accanimento terapeutico è l’ostinazione in trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità di vita. In Italia – anche grazie ai continui tagli alla sanità – nella pratica l’accanimento può verificarsi solo per un errore, perchè oggi il vero problema è l’abbandono terapeutico.
Cosa completamente diversa è l’insistenza terapeutica, ovvero il prolungamento delle terapie e/o delle cure di sostegno vitale, anche per lungo tempo, a fronte di situazioni cliniche con prognosi non sicuramente prevedibile (ad esempio le malattie croniche neurodegenerative, come sclerosi multipla, SLA, malattia di Parkinson).
5 – Cos’è una prognosi non sicuramente prevedibile?
Sono numerose le patologie di fronte alle quali nessun medico è in grado di prevedere la lunghezza del decorso della malattia e della eventuale sopravvivenza. Ad esempio una malattia grave come la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) è una patologia che può condurre a morte in pochi anni, ma può anche garantire una sopravvivenza di un decennio ed oltre. Pertanto, di fronte a patologie di questo genere il medico ha il dovere di dichiarare che la prognosi non è sicuramente prevedibile.
6 – Nutrizione e idratazione sono trattamenti sanitari?
Sicuramente no, in quanto attengono alla cura della persona; tuttavia, la legge n. 219/2017 (legge sul Consenso Informato e sulle DAT) equipara nutrizione e idratazione ai trattamenti sanitari; come conseguenza di ciò, se ne può chiedere la sospensione o la non somministrazione anche attraverso le disposizioni anticipate di trattamento. Queste disposizioni, non più “dichiarazioni”, costituiscono già ora un riconoscimento del “diritto” alla morte assistita, o “via italiana all‘eutanasia” indipendentemente dal giudizio del medico in merito alla curabilità del soggetto.
7 – La Corte Costituzionale ha legittimato l’eutanasia o l’uccisione su richiesta o l’aiuto al suicidio?
No, in alcun modo; la Corte ha solo dichiarato conforme al dettato costituzionale il comportamento tenuto in occasione dell’uccisione di Fabiano Antoniani, tenuto conto che già la legge 219/2017 ha reso possibile la “via italiana all‘eutanasia”. Spetta al Parlamento legiferare, in modo da trovare il corretto rapporto tra valore della vita ed autonomia morale del soggetto che in taluni casi rinuncia alle cure.
8 – Si sostiene che la richiesta di porre fine alla propria vita sia dovuta all’insopportabilità del dolore patito dalla persona: lo Stato fa il possibile per lenire tale dolore, così da evitare o limitare la domanda di mettere termine alla propria vita?
La legge 38/2010 prevede che il Servizio sanitario nazionale si faccia carico del paziente che patisce situazioni di grave sofferenza attraverso la pratica della terapia del dolore; tale legge è stata purtroppo poco finanziata ed ancor meno applicata. Dunque, si vuole legalizzare la pratica dell’eutanasia e del suicidio assistito a fronte dell’inadempienza da parte dello Stato nel mettere in pratica tutto ciò che possa rimuovere le cause di simili richieste da parte del paziente.
9 – La Corte Costituzionale nella sentenza 242/2019 prescrive che il personale medico sia obbligato ad aiutare il paziente che chiede il ricorso al suicidio assistito?
No, la sentenza afferma esplicitamente che il personale medico è libero di scegliere se assecondare o no la richiesta del paziente, ma il testo unificato Bazoli-Provenza, in discussione in Parlamento, non prevede tale possibilità di scelta: il personale medico sarebbe dunque tenuto a dar seguito alla richiesta senza possibilità di obiezione. Il medico peraltro – con la legge 219/2017 – è divenuto puro esecutore della volontà del paziente.
10 – La sentenza della Corte mina il principio biogiuridico di beneficialità della cura?
Il principio di beneficialità individua nella salute del paziente il fine della cura, non rinunciando alla sua libertà ed autonomia. In altre parole cure mediche e libertà presuppongono una relazione tra medico e paziente al fine di trovare le cure migliori evitando l’accanimento terapeutico, cioè il ricorso a cure inappropriate e/o futili rispetto alla situazione clinica. La sentenza 242/2019 ha dovuto prendere atto che la legge 219/2017 ha abolito il principio di beneficialità quando ha previsto che il medico è esente da conseguenze penali riguardanti la della morte del paziente se esegue le indicazioni che il paziente stesso gli ha dato, prevendendo la possibilità di richiesta di aiuto al suicidio medicalmente assistito in alcuni casi specifici: il medico aiuta il paziente a morire, non ad alleviare la sua sofferenza.
11 – Dopo la sentenza della Corte, la vita umana è ancora un bene indisponibile?
La risposta è negativa: la vita, seppure a certe condizioni, diviene un bene disponibile cui il paziente può rinunciare, mentre l’indisponibilità di un bene significa la sua intangibilità da parte di chicchessia, compreso chi ne ha il godimento. Questa indisponibilità è ciò che rende punibile chi aiuta o induce a rinunciare al bene. I beni sono resi indisponibili dal diritto per proteggere chi, per una situazione di vulnerabilità (debolezza, dolore, necessità, immaturità) sarebbe indotto a rinunciarvi.
12 – La possibilità di ricorrere al suicidio assistito tocca il principio di uguale dignità delle persone?
Evidentemente sì, perché, se in determinate situazioni è possibile chiedere il suicidio assistito ed in altre no, significa che il “bene vita” non è uguale per tutti, ma che per alcuni la vita vale meno che per altri, la vita del malato vale meno di quella del sano. Questa disuguaglianza può avere conseguenze dirompenti, come la valutazione economica del valore della vita: in alcuni casi varrebbe la pena spendere per le cure sanitarie di una persona, in altri no. L’affermarsi di questa mentalità può indurre il malato a sentirsi in dovere di togliere il disturbo e la società a riprovare chi si ostina a voler vivere (a meno che non sia abbastanza ricco da pagarsi le cure con le proprie sostanze).
13 – Qual è l’origine dell’idea che la vita sia un bene disponibile?
Questa idea nasce essenzialmente dalla concezione che si ha della vita. Se questa è totalmente propria, se ciascuna persona è un individuo a sé stante che può decidere di sé quello che vuole, senza dover rendere conto ad altri, allora, nello stesso modo in cui si può decidere se drogarsi, o mettere in pericolo la vita in modo irresponsabile, o abortire (si pensi al vecchio slogan “l’utero è mio e lo gestisco io” che nega che ci sia in ballo la vita di un altro), o affittare il proprio utero, così si può decidere di togliersi la vita, sia che ci si trovi in uno stato terminale e doloroso, o che si abbia una malattia cronica, o che si abbiano sofferenze psichiche o più semplicemente che si sia stanchi di vivere.
14 – La dignità della persona è qualcosa che può svanire?
La dignità è costitutiva della persona, non può essere acquisita o perduta a seconda delle circostanze, persiste anche dopo la morte, tanto che esiste il reato di vilipendio, soppressione e sottrazione di cadavere.
15 – Si possono riconoscere contemporaneamente il diritto alla vita ed il diritto di morire?
No, se si riconoscesse il diritto di morire, bisognerebbe riconoscere anche il dovere di far morire. Questo porterebbe ad una contraddizione nel diritto: il diritto alla vita ed il dovere di far morire, si rischierebbe dunque il collasso del sistema giuridico.
16 – La prima condizione richiesta dalla legge Bazoli per poter accedere al suicidio assistito è che la persona sia affetta da una patologia irreversibile. Di cosa si tratta?
È una condizione, lesione o malattia che non può regredire. Si tratta di patologie che porteranno alla morte in un tempo più o meno prevedibile; ad esempio per le condizioni attuali della medicina il diabete è una patologia irreversibile; tuttavia sappiamo bene che un malato adeguatamente controllato può vivere fino a novant‘anni! Il concetto di irreversibilità è legato a quello di inguaribilità. Si faccia però attenzione: inguaribile non vuol dire incurabile. La cura è cosa diversa dalla guarigione: di tutti si può e si deve prendersi cura.
Le malattie croniche sono caratterizzate da una persistenza di almeno un anno e dalla necessità di cura continua e possono limitare la vita quotidiana sana.
Il paziente fragile tende ad aggravarsi, a subire frequenti ricoveri e ha più elevato rischio di mortalità o invalidità.
Tutti questi casi non precludono la cura della persona.
17 – La seconda condizione richiesta dalla legge Bazoli è che la persona sia affetta da patologia a prognosi infausta.
Per prognosi infausta si intende una malattia che avrà un esito letale in un tempo breve, medio o lungo; si veda ad esempio il caso di Stephen Hawking: a venta’anni gli è stata diagnosticata la SLA, con una prospettivia di vita di due anni. Tuttavia, Hawking è morto a 76 anni e nel frattempo i suoi studi sui buchi neri lo hanno portato fino alla assegnazione del Nobel!
Dunque, possono passare anche anni prima che il paziente muoia.
Cosa diversa è la condizione di terminalità, cui non si fa accenno nel T.U. Bazoli – Provenza. Il paziente terminale è colui per il quale il tempo che rimane da vivere è limitato (per il paziente oncologico si parla di una previsione di 90 giorni). La legge italiana prevede che il paziente che si trova in questa situazione, possa ricevere le cure palliative per la riduzione della sofferenza.
“Curare a volte, alleviare spesso, confortare sempre” (P. E. Trudeau)
18 – Per chiedere il suicidio assistito, la persona deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Quali sono tali trattamenti?
Spesso si genera confusione su tali trattamenti mettendo insieme cose molto diverse: si va da nutrizione e idratazione, a ventilazione forzata, a trattamenti che possono essere configurati come accanimento terapeutico, cioè inappropriati e/o futili – come tali vietati dal Codice di Deontologia Medica – ma nella categoria rientrano anche semplici trattamenti di tipo farmacologico.
Il problema che si viene configurando oggi è che sempre più spesso, pur in presenza di trattamenti adeguati a una certa patologia, si consideri inutile continuare la cura se il paziente è anziano o se si reputa la sua qualità di vita inferiore agli standard socialmente riconosciuti.
Il rischio cui siamo di fronte è l’abbandono terapeutico, la persona viene lasciata morire perché la sua qualità di vita, o attesa di vita, sono considerate insufficienti a giustificare una cura, in altre parole queste persone vengono scartate, considerate costose e inutili per la società.
In realtà i trattamenti vanno valutati nel caso concreto e possono essere terapia, sostegno vitale, manifestazione di affetto, a seconda del momento clinico della vita dell’ammalato.
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