L’individualismo come radice del conflitto “uomo donna” di Ida Giangrande

Secondo il Rapporto Eures sul femminicidio in Italia, tra il 2000 e il 31 ottobre 2020 sono 3.344 le donne uccise in Italia, pari al 30% degli 11.133 omicidi volontari complessivamente censiti. Solo nel 2019 sono state uccise 99 donne, 85 in ambito familiare. In una giornata come questa siamo tutti chiamati a porci delle domande: perché? […]

25 Novembre 2021

Secondo il Rapporto Eures sul femminicidio in Italia, tra il 2000 e il 31 ottobre 2020 sono 3.344 le donne uccise in Italia, pari al 30% degli 11.133 omicidi volontari complessivamente censiti. Solo nel 2019 sono state uccise 99 donne, 85 in ambito familiare. In una giornata come questa siamo tutti chiamati a porci delle domande: perché? È corretto ascrivere tutto alla violenza maschile, alla follia di qualcuno, ad un inspiegabile raptus omicida? Oppure a ben guardare la violenza sulle donne ha radici più profonde?

Un fenomeno così complesso e drammatico non ha mai una sola motivazione e non è sempre possibile trovare una soluzione ipso facto. Volendo richiamare un’immagine allegorica la definirei come una piovra che estende i suoi tentacoli in vari aspetti dell’esperienza umana. In questo articolo mi soffermerei su una delle motivazioni che a mio modesto parere, rappresentano uno dei principali trigger di questa piaga. Ad uno sguardo attento dello scenario che ci circonda, infatti, abbiamo ragione di credere che femminicidi, violenze e soprusi ai danni delle donne nascano da una crisi profonda che riguarda l’umano e in particolare quell’alleanza tra uomo e donna così importante e preziosa per la società civile.

La nostra epoca è contrassegnata da un turbine di stimoli diversi e abbaglianti. Le sfide che le coppie devono affrontare sono difficili, complesse e multiformi. In ciascuna di esse mi sembra di rintracciare un minimo comune denominatore che potremmo definire così: una forma austera di individualismo narcisista. Messi l’uno di fronte all’altro, l’uomo e la donna sono spinti a combattersi come eserciti nemici, sono spinti a gareggiare come fronti opposti in una continua affermazione ed esaltazione di sé: il maschio chiuso nel proprio ego superomista e la femmina sempre più simile a lui. Sono spinti a prendere ciò che è meglio per sé stessi, come se la persona da amare non fosse altro che uno specchio attraverso il quale contemplare la propria immagine, soddisfare le proprie voglie, appagare i bisogni.

E al centro di tutto c’è sempre e solo la deizzazione dell’io. Un atteggiamento spesso drammaticamente comune sia agli uomini che alle donne del nostro tempo è la rinuncia all’amore, la rinuncia al dono di sé, a quella comunione armonica che ci fa sentire parte di una storia, che ci fa sentire di appartenere a qualcuno nel bene o nel male. Emerge e si va affermando con sempre maggiore prepotenza un uso strumentale dell’altro strettamente connesso all’ambito erotico-sessuale, al bisogno di non restare soli, all’appagamento di un bisogno del momento e dell’istinto.

Nulla di nuovo! Che saremmo arrivati a questo ce lo aveva profeticamente annunciato Papa Paolo VI in Humanae vitae. Siamo nel 1968 e parlando di procreazione responsabile, al n.17 di questa preziosissima enciclica San Paolo VI sottolineava: “Si può anche temere che l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna, rispettata e amata”.

Da dove ripartire dunque? Come ho già detto prima non c’è una soluzione univoca. C’è bisogno di una regolamentazione adeguata, di pene più severe, di controlli più attenti per non lascare sole le donne vittime di violenza, ma in ultimo e non per ultimo, ci sarebbe bisogno di riappacificare l’uomo e la donna. È urgente, dunque, favorire una vera e propria rivoluzione culturale, dove tornare a parlare in maniera incisiva di stabilità della coppia, della bellezza dell’amore inteso come donazione di sé, autentico e prezioso nettare di vita. Solo a queste condizioni potremo sperare davvero in un futuro più giusto e rispettoso non solo per le donne, per tutti.

©Riproduzione riservata

di Ida Giangrande, Scrittrice giornalista e conduttrice Radio, caporedattrice di Punto Famiglia

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