La doppia malizia della parola eutanasia

Se la morte non sopraggiunge naturalmente o accidentalmente, essa è data necessariamente da qualcuno: o dal soggetto stesso oppure da un’altra persona.

di Massimo Martinucci

Massimo Martinucci, ferrarese, medico dentista fino al recente pensionamento, marito, padre di quattro figli e nonno di (finora) sette nipoti, militante di Alleanza Cattolica fin dalla sua costituzione e dal 2016 membro del Capitolo Nazionale. Cura vari siti internet tra cui www.scuoladieducazionecivile.org e www.caffarra.it.

13 Luglio 2022

«Una azione o una omissione che di natura propria procura la morte per alleviare le sofferenze di un malato». Questa è la definizione di eutanasia, con diverse varianti accettata universalmente.

Facile, e direi addirittura immediato, il cogliere e subito denunciare una prima malizia, visto che è insita nel termine stesso: una parola che significa “morte buona” (dal greco εὔ-, bene, e θάνατος, morte) come può non avere per ciò stesso una connotazione positiva?
In realtà questo termine in epoca moderna non è stato coniato con il significato che gli è attribuito oggi: il filosofo inglese Francis Bacon (1561-1626), che per primo lo usò nel suo saggio Progresso della conoscenza, intendeva soltanto raccomandare ai medici di assistere i propri pazienti — che stavano comunque morendo in modo naturale — in modo che avessero a soffrire il meno possibile. Concetto basilare di una mentalità data per scontata in una civiltà occidentale e cristiana, si trattava semplicemente di ribadire l’opportunità di non abbandonare mai i malati, nemmeno quelli inguaribili, accompagnandoli e prendendosi comunque cura di loro.

Totalmente assente dal significato originario quindi l’idea di procurare la morte, in qualsiasi modo, sia con una azione che con una omissione.

Ma c’è un altro aspetto, forse più nascosto e subdolo, del quale a mio avviso è necessario e opportuno denunciare la malizia. Direi un aspetto… tassonomico. Il fatto cioè che si classifichi l’eutanasia “a fianco” e non come una sottospecie dell’omicidio o del suicidio. Essa, con il suo bel nome autonomo e universalmente conosciuto, pacificante, che non provoca ripulsa o avversione, viene presentata come un tertium genus rispetto all’omicidio e al suicidio, qualcosa di diverso da entrambi. Insomma, che non si tratti di una uccisione. Mi sembra invece che ogni caso di eutanasia si possa sempre ricomprendere in uno dei due delitti.
In ogni caso infatti, se la morte non sopraggiunge naturalmente o accidentalmente, essa è data necessariamente da qualcuno: o dal soggetto stesso oppure da un’altra persona.

Per questo motivo mi permetto di concludere con una raccomandazione che rivolgo a coloro che si trovano a scrivere oppure a parlare in pubblico di questo argomento: nominando l’eutanasia, aggiungere sempre che si tratta di una sottospecie di omicidio oppure di suicidio, non di una categoria a parte.

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