La scuola è il centro di ogni comunità

La Convenzione sui diritti dell’Infanzia non può prescindere dalla presa in carico della povertà educativa e materiale in cui versano 1,3 milioni di minori italiani, cioè il 13,5% del totale (dati ISTAT). E’ quindi necessario ripartire dalle fondamenta per fornire una riflessione di senso e indirizzata ad affrontare e risolvere il dramma della povertà assoluta […]

19 Novembre 2021

La Convenzione sui diritti dell’Infanzia non può prescindere dalla presa in carico della povertà educativa e materiale in cui versano 1,3 milioni di minori italiani, cioè il 13,5% del totale (dati ISTAT).

E’ quindi necessario ripartire dalle fondamenta per fornire una riflessione di senso e indirizzata ad affrontare e risolvere il dramma della povertà assoluta in cui versano tanti bambini e ragazzi. E’ indubbio che una delle cause fondanti della povertà per gli esseri umani è la mancanza di istruzione e formazione.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, promulgata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948, è ancora oggi la pietra miliare dei diritti umani. Il tema del diritto all’istruzione è presente all’articolo 26: “Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e di base. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.

L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”.
Ci sono, in embrione, tutti gli elementi che caratterizzano oggi questo diritto, riconosciuto a “ogni individuo”. Ci sono i concetti di obbligatorietà e gratuità. C’è il dovere, per gli Stati, di rendere l’istruzione accessibile a tutti. C’è la finalizzazione dell’educazione verso la costruzione di un futuro migliore, per sé e per il mondo in cui si vive.

Nel 1966 il diritto all’istruzione è tra i protagonisti del Patto Internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali, nato sempre in seno alle Nazioni Unite. Stavolta gli vengono dedicati due articoli, i numeri 13 e 14.
Nel primo si mette l’accento sull’universalità di questo diritto e sulle sue finalità.
L’articolo prosegue qualificando l’istruzione primaria come obbligatoria e gratuita e i livelli successivi come accessibili per tutti. Al concetto di accessibilità viene data concretezza con un elenco di possibili strumenti: numero e formazione dei docenti, infrastrutture, borse di studio. Inoltre, al comma 2 e 3, si affronta espressamente il tema della libertà educativa, sia dal punto di vista dei genitori che da quello degli istituti a gestione non statale. In entrambe i casi, la libertà di educazione è riconosciuta, e il servizio erogato è pubblico, purché si rispettino le finalità elencate in precedenza e i requisiti minimi stabiliti dallo Stato.
L’articolo 14, invece, torna sull’importanza che in ogni nazione ci sia una scuola primaria obbligatoria e gratuita e impone agli Stati che ancora ne fossero sprovvisti di attivarsi.

Nel 1989, le Nazioni Unite licenziano un nuovo documento, dedicato esclusivamente ai minori. Si tratta della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, che dedica all’istruzione l’articolo 28. Nella prima parte, il testo ricalca quanto previsto già dalla Dichiarazione universale del 1948 e dal Patto del 1966. Per la prima volta, però, viene introdotto un riferimento alla necessità che gli Stati garantiscano piani di orientamento formativo per tutti e attuino politiche di contrasto del fenomeno dell’abbandono scolastico. In particolare, nei Paesi del Sud del mondo, a farsi carico della responsabilità educativa sono quasi esclusivamente le scuole cattoliche.

In Italia le scuole paritarie sono nate, spesso in zone altamente popolose e disagiate, come scuole dei poveri, per strappare i ragazzi ai pericoli della strada. L’aver lungamente impedito in Italia la libertà di scelta educativa dei genitori ha portato le scuole paritarie dei poveri ad indebitarsi prima, per rendersi accessibili, e a chiudere poi, per l’impossibilità ad alzare le rette in ordine alla sopravvivenza economica. Ricordiamolo: la scuola statale non è gratuita: è pagata dalle tasse dei contribuenti che, se scelgono la scuola paritaria, pagano due volte: le tasse per un servizio di cui non si avvalgono, la retta chiesta dalla scuola paritaria che, come ricordato sopra, è scuola pubblica per legge.

Il Covid ha però accelerato il processo di chiusura proprio delle scuole paritarie di frontiera, in particolare del Sud, quei presidi di cultura e di libertà che, con rette modeste, hanno cercato di non escludere proprio i più poveri. Fedeli alle ragioni di fondazione, gli Istituti Religiosi si sono fatti carico di tutto, pur di non compromettere lo spessore educativo, la continuità scolastica e l’aiuto ai soggetti più fragili ed emarginati. Evidentemente questi Istituti hanno dovuto ricorrere all’indebitamento e all’impegno degli immobili con una chiara difficoltà a mantenere aperta l’opera educativa. La reale impossibilità delle famiglie del sud ad accedere a scuole con rette superiori a 3mila euro ha causato la chiusura proprio delle scuole di frontiera. Non possiamo tollerare che, proprio quelle scuole nate per i poveri, aperte a tutti, alle fasce più fragili, ai disabili ed agli immigrati, veri baluardi di legalità in territori difficili, hanno dovuto prima accettare di non poter accogliere tutti e poi di dover chiudere.

E’ stato ampiamente dimostrato, attraverso l’individuazione del costo standard di sostenibilità, che un allievo costa annualmente 5.500 euro1. Ma quale famiglia potrebbe permettersi una retta di tale ammontare? Se al Nord, grazie a politiche scolastiche che hanno ridotto la discriminazione con interventi come la dote scuola, il voucher, il buono scuola, una famiglia con un Isee di 10mila euro può permettersi di scegliere una scuola paritaria, questo al Sud è impossibile. Così, mentre la Lombardia e il Veneto arrivano ai primi posti Ocse – Pisa, la Sicilia e la Campania arrivano agli ultimi posti.

Il Nord conta il 37% di pluralismo educativo e il sud tra il 4-7%. Evidentemente nel sud del Paese il pluralismo va rifondato, per evitare la scuola unica di Stato che, come tutti i monopoli, è pericolosa, perché è l’anticamera del regime.
In aggiunta, favorire il pluralismo educativo consente una sana competizione fra le scuole, elemento che innalza il livello di qualità, fa risparmiare tanti danari da investire nella tecnologia, nei docenti, nella formazione degli stessi. Eppure la riforma tanto attesa, quella verso “autonomia, parità e libertà di scelta educativa” così semplice e immediata, in Italia è ferma da 20 anni, perché emancipare il povero fa paura, lo rende libero, ne fa un cittadino. Allora chi si scagliava contro la scuola dei ricchi per i ricchi, contro le “private che tolgono fondi alla scuola statale”, diceva il falso: la scuola paritaria, in realtà, faceva risparmiare allo Stato ben 6miliardi di euro annui.

La mancanza di libertà di scelta educativa per motivi economici distruggeva le scuole serie, quelle dei poveri, che cadevano sotto la morsa dell’indebitamento, costringendo le scuole ad applicare rette di pareggio da 5mila euro, che nel sud sono impensabili, e potenziava le scuole con rette da 8mila euro, quelle di élite, dove la ricca borghesia, gli imprenditori e i vip mandano i figli. Questo ha reso il sistema scolastico classista, regionalista e discriminatorio, al contrario di quanto avviene nella laica Francia dove una famiglia, a costo zero, avendo pagato le tasse, può scegliere fra una scuola pubblica statale, o paritaria cattolica o laica.

Deve essere obiettivo comune degli Stati offrire a tutti gli studenti le medesime opportunità per contribuire alla vita civile e sociale. L’accesso ad una istruzione di qualità deve essere garantito a tutti. La mancanza di formazione e istruzione favorisce i regimi totalitari, la corruzione, l’ignoranza le disuguaglianze. Lo ha affermato con chiarezza papa Francesco lo scorso anno, lanciando il patto educativo mondiale. E’ certamente encomiabile l’impegno educativo della Chiesa Cattolica, spesso attraverso le congregazioni religiose, per garantire un’istruzione di qualità per tutti: purtroppo sono ancora insufficienti i numeri di questa rete mondiale di scuole così fondamentali.

La scuola è il centro di ogni comunità, sia nel Nord che nel Sud del mondo. Per facilitare e favorire il dialogo tra Nord e Sud, dunque, la scuola potrebbe assumere una funzione importante di mediatore.

E l’Italia è paradigmatica, per certi aspetti, rispetto alla situazione mondiale. Il nostro sistema scolastico nasconde ancora molte sacche di esclusione, oltre che di vera e propria resistenza delle scuole “di frontiera”. Lo ha ricordato il Presidente Mattarella il 20 Settembre in occasione dell’inaugurazione dell’a.s. 2021/2022. Difatti l’emergenza sanitaria e la prolungata chiusura delle scuole hanno fatto sparire dal radar molti studenti a rischio, nonostante l’impegno di insegnanti e dirigenti per contattarli, uno ad uno, e l’intervento di molte associazioni che affiancano le scuole e i loro alunni garantendo il sostegno della comunità educante. In misura molto più drammatica ciò è accaduto nel Sud del mondo.

Guardiamo alla realtà: già prima della pandemia, nel nostro Paese, 1 milione 137 mila minori (l’11,4% del totale) si trovavano in condizioni di povertà assoluta, senza avere cioè lo stretto necessario per condurre una vita dignitosa. Un dato in calo rispetto al 12,6% del 2018, ma che tuttavia rischia di subire una nuova impennata proprio per gli effetti del Covid-19, se non saranno messi subito in campo interventi organici per prevenire una crescita esponenziale come quella avvenuta a seguito della crisi economica del 2008, quando la percentuale di povertà assoluta minorile è quadruplicata in un decennio (era il 3,1% nel 2007).
Già prima dell’emergenza Covid, l’ascensore sociale del Paese era fermo: in Italia si è rotto il meccanismo che permetteva di migliorare la propria condizione, di costruirsi un futuro migliore.

Secondo un’indagine condotta da Ipsos tra gli studenti della secondaria di secondo grado, nel 28% delle classi si sarebbe verificato almeno un abbandono di un loro compagno, da quando la pandemia ha compromesso le attività didattiche in presenza. Poiché nel 2019-20 le classi funzionanti erano 121,5mila, si può ritenere che, se fondata la stima del 28%, non meno di 34mila ragazzi abbiano abbandonato o siano propensi a non ritornare a scuola. Chi ripagherà – privo di cultura e formazione – il debito del Recovery Plan?
La povertà improvvisa, la paura per il futuro, la demotivazione: una miscela di fattori che rischia di gravare come una pesante eredità sulle spalle degli studenti, aumentando i già importanti divari di apprendimento che caratterizzano il nostro Paese. A ciò si aggiunge la crisi della famiglia che, sempre più spesso spaccata e assente, non supporta i figli in un percorso culturale e formativo.

Da qui l’unica certezza: il futuro di ogni Paese passa dalla scuola. La pandemia, infatti, avendo fatto emergere i limiti del sistema scolastico, da un canto ha accelerato alcuni processi, già in atto da tempo, dall’altro ha maturato in ciascuno di noi la consapevolezza che il futuro del Paese dipende proprio dalla ripartenza della scuola. Una scuola che non ha chiuso a causa del Covid e che evidentemente riparte per tutti se, e solo se, riusciremo a compiere la necessaria riforma epocale: “Porre la scuola al centro del Paese per dare un futuro ai nostri giovani”.
La scuola deve tornare ad essere un ascensore sociale. E’ un discorso che vale per tutti: per i Paesi del Sud del mondo deve ancora iniziare ad esserlo.

La Convenzione sui diritti dell’infanzia non può prescindere dall’impegno di tutti nel realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030. Ultima tappa di questo excursus sul valore universale del diritto all’istruzione è l’Agenda 2030, un documento con cui i 193 Stati che fanno parte dell’ONU si sono impegnati a realizzare obiettivi concreti di sviluppo sostenibile, entro il 2030.

Tra questi, al numero 4, figura anche il diritto all’educazione, scomposto in ulteriori traguardi specifici:

• garantire un’educazione primaria e secondaria libera, equa e di qualità, con risultati di apprendimento adeguati e concreti;
• garantire l’accesso alle cure e all’istruzione prescolastica e uno sviluppo infantile di qualità;
• garantire l’accesso equo all’istruzione tecnica, professionale e terziaria (economicamente vantaggiosa e di qualità);
• garantire a un numero crescente di giovani e adulti competenze specifiche per l’occupazione dignitosa e per l’imprenditoria;
• eliminare le disparità di genere e quelle a svantaggio delle categorie protette;
• garantire a tutti i giovani e a gran parte degli adulti un buon livello di alfabetizzazione e basilari capacità di calcolo;
• garantire la presenza di docenti con conoscenze e competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile;
• costruire e potenziare le infrastrutture dell’istruzione;
• aumentare il numero di borse di studio disponibili per i paesi in via di sviluppo;
• aumentare il numero di insegnanti qualificati.

L’Italia è ancora lontana da questi traguardi. Se il Paese perde l’occasione di usufruire con intelligenza del Recovery Plan, non saranno i miliardi prestati dall’Europa a salvarlo.

Chi ha testa, la usi.

©Riproduzione riservata

di Suor Anna Maria Alfieri, religiosa dell’Istituto Suore Marcelline. Nel 2001 si è laureata in Giurisprudenza e nel 2007 in Economia. Ha poi conseguito il Diploma Superiore di Scienze Religiose e, ad oggi, è legale rappresentante dell’Istituto di Cultura e di Lingue Marcelline.

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