La convenzione sui diritti dell’infanzia (20 novembre 1989) nel trentesimo anniversario della sua ratifica ed esecuzione.
La protezione dei bambini costituisce lo scopo costitutivo di molte istituzioni pubbliche e private, nazionali ed internazionali. Il 20 novembre, ricorre l’anniversario della Convenzione internazionale dei diritti del bambino (ONU, 1989) a cui l’Italia ha dato seguito trent’anni fa con la legge di ratifica ed esecuzione n. 176 del 1991 e successiva legge 46 del 2002. La Convenzione dell’89 non costituisce una novità assoluta: già nel 1924, nell’ambito della Società delle Nazioni, era stata adottata la Dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo e la stessa ONU, il 20 novembre 1959, aveva emanato la Dichiarazione sui diritti del bambino. Tuttavia, la Convenzione si segnala perché rappresenta un vero e proprio vincolo per gli Stati contraenti e perché pone lo sguardo sull’infanzia che precede la nascita.
«Il bambino, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale – si legge nel preambolo – necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita».
Dunque vi è una stagione prima della nascita che può qualificarsi infanzia.
Se le norme sull’infanzia sono elaborate per assicurare una protezione particolarmente intensa ai più piccoli, la qualificazione di “bambino” appare decisamente pregnante non solo riguardo ai neonati, ma anche riguardo ai non ancora nati. È vero che non si stabilisce l’inizio del “prima”, così come non stabilisce l’inizio della fanciullezza di cui invece, all’art. 1, si stabilisce il termine finale poiché il soggetto chiamato bambino è l’essere umano fino al 18° anno, ma è anche vero che prima della nascita c’è l’essere umano bambino.
Si può, dunque ragionevolmente dire che l’infanzia comincia non appena inizia l’essere umano, cioè che è giusto chiamare “fanciullo” anche il concepito ancora portato nel seno della madre. Infatti, la cesura tra l’esserci e il non esserci non è la nascita. L’unica possibile cesura è il concepimento. È un dato scientifico acquisito. Embrione e feto – così come neonato, ragazzo, adolescente, giovane adulto, anziano – sono denominazioni usate per identificare alcune fasi della vita umana che resta comunque quella di una medesima entità chiamata uomo.
Due Corti Costituzionali europee (italiana e polacca), entrambe sull’aborto volontario, hanno tratto argomento proprio dall’art. 1 e dal preambolo della Convenzione dell’89 per affermare il diritto alla vita del concepito fin dalla fecondazione. Se è bambino colui che è piccolo, che deve imparare tutto, che ha assolutamente bisogno di qualcuno che lo protegga e lo accolga, chi è più bambino di colui che chiamano col nome di zigote, embrione e feto? D’altra parte potremmo riconoscere nel non nato la presenza di un essere umano negandogli però la stessa dignità del nato? Non sarebbe una grave violazione del principio di uguaglianza?
Perciò, è giusto, doveroso, urgente, occuparsi e preoccuparsi dei bambini vittime in tutto il mondo di violenze, maltrattamenti e abusi: sfruttati sessualmente e nel lavoro, abbandonati in condizioni miserevoli, costretti alla guerra, in fuga dalla guerra e dalla miseria, esuli, migranti, profughi, denutriti, privati di educazione scolastica, malati, disabili. Dovremmo, però, ricordarci anche dei bambini vittime di quella cultura dello scarto mondiale che impedisce di nascere a un numero sconfinato di bimbi e che mediante le tecnologie di riproduzione umana ne porta innumerevoli alla distruzione mediante sperimentazione e selezione genetica, che ne favorisce l’accumulo nei congelatori, che li priva in modo programmato delle loro origini con il ricorso ai fornitori di gameti, che li rende “prodotti commerciali” da commissionare e ritirare dopo nove mesi dalla donna che ha affittato il suo utero.
Sono bambini che la civiltà dello scarto vuole dimenticare in molti modi bollando la loro “espulsione” come progresso e diritto e accusando chi ne parla di essere retrogrado e divisivo. Ma è proprio la fessura aperta dalla Convenzione sui diritti del bambino che spinge a considerare bambini anche i figli concepiti, dischiudendo l’orizzonte del vero progresso e dei veri diritti.
Per questo il 19 novembre su iniziativa della senatrice Binetti si terrà nella sala Nassirya del Senato una conferenza stampa intitolata “Noi non li dimentichiamo. Viaggio tra i bambini non nati per celebrare la Convenzione sui diritti dell’infanzia (20 novembre 1989) nel trentesimo anniversario della sua ratifica ed esecuzione (L. 27/05/1991 n.176)”.
Lo stesso titolo è dato al webinar organizzato dal Movimento per la Vita il 20 novembre alle ore 21. È urgente domandare ai pubblici poteri, ad ogni livello, che la società tutta intera con le sue forze intellettuali e con le sue strutture politiche, sociali ed assistenziali, si ponga sempre dalla parte dei bambini, anche dei bambini più piccoli di tutti, quelli in viaggio verso la nascita.
La voce delle donne in tutto questo riveste un ruolo più che speciale, perché esse sono le prime a sapere e le uniche ad avere il privilegio di vivere con il proprio figlio quell’intimissimo abbraccio chiamato gravidanza.
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Marina Casini è Presidente del Movimento per la Vita
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