Oggi, nella Giornata Internazionale per Contrastare i Discorsi d’Odio, vorrei semplicemente fare il punto su un paio di vocaboli che, spesso, vedo usati con una certa disinvoltura: odio e fobia.
Sento dire che il web è pieno di discorsi d’odio. Quando ero più giovane (ormai veleggio verso i cinquanta) ero convinto che la parola “odio” avesse un qualcosa di forte, troppo forte da esser quasi prossima al proibito. Potevi non apprezzare qualcuno, avere antipatia verso qualcuno, giungere addirittura a detestarlo, ma l’odio no, quello era l’anticamera sicura della violenza. Odio era un qualcosa di irreparabile, di profondamente malvagio.
Oggi, invece, sento usare spessissimo questa parola, abbinandola anche a semplici opinioni che non si scagliano contro nessuno, ma che semplicemnte si permettono di esprimere il disaccordo verso alcuni usi, o verso alcuni atti.
Ora, a prescindere dal fatto che esprimersi verso un atto non vuol dire esprimersi verso l’attore (ma lo so, il discorso rischia di diventare troppo sottile), è pur vero che, se non a rischio di annacquare il senso della parola, si corre il rischio di sovrapporre, forse maliziosamente, disaccordo (lecito) e odio (eccessivo). Se dico che un bambino ha diritto di nascere, e di farlo da una mamma e da un papà non odio nessuno, anzi, probabilmente non faccio altro che amare quel bambino che nemmeno conosco (chiediamoci invece come si possa definire il sentimento, verso tale bambino, di chi lo vuol ridurre a oggetto di scelte libere altrui…). E comunque esprimo una opinione.
Odio no, odio è altro. Ma bollare come “d’odio” siffatte opinioni è gioco facile di chi usa slogan per comprare a basso prezzo il consenso di chi legge solo le prime due righe.
Diciamocelo: è marketing di opinioni. Pubblicità che agisce nell’inconscio.
Passiamo all’altro termine, quello tanto caro ai sostenitori del DDL Zan: fobia.
Paura? Il vocabolario la accosta ora alla intolleranza, ora alla paura. Quale che sia la scelta mi colpisce sempre un aspetto: è sempre bollata come patologia psichica. Se ci penso è vero, nella mia esperienza: ho sentito parlare di claustrofobia per esempio. Scusate, ma ricordo solo quella. Ciò che è importante però è che anche io associo, come tutti immagino, e come anche il vocabolario, la parola Fobia alla patologia, al difetto mentale diciamo.
Ma come? Esser d’accordo è da normali e non esser d’accordo è da malati?
Ancora una volta si gioca con il senso profondo delle parole?
Non so che dire. Diciamo che se ho “fobia” di una cosa è dell’aria che tira, del bavaglio che vorrebbero mettere.
E con il DDL Zan ci stanno provando.
Ma occhio: se ci date dei matti, non ci potete nemmeno condannare.
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