La dottrina dei diritti umani pare essere divenuta la parola d’ordine della modernità. La sua organica sistemazione, unitamente all’affermazione della sua universalità e all’idea di una sua garanzia di libertà, giustizia e pace, si rinviene nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), firmata tra le macerie della prima metà del secolo scorso, quando viva era ancora la memoria della sofferenza e della violenza.
Sulla dignità sempre egualmente grande in ogni essere umano fu concentrata l’aspirazione a una giustizia diversa dalla forza di chi comanda.
Ma chi è l’uomo titolare dei diritti che sono la misura della giustizia secondo il pensiero moderno? La certezza del titolare dei diritti umani è il chiodo che regge il quadro. “La questione sociale oggi è radicalmente questione antropologica”, ammoniva Benedetto XVI nella “Caritas in Veritate” (p.78). Affermare l’eguale dignità anche dell’essere umano nel seno materno, che si trova nello stato di estrema fragilità e povertà, altro non possedendo che la sua umanità, è il criterio decisivo per rendere vera la teoria dei diritti umani.
E’ la vita umana più fragile la questione sociale del terzo millennio! Nel 1991 – nel centesimo anniversario dell’enciclica “Rerum novarum”, con la quale il Pontefice di allora, Leone XIII, indicò al mondo la condizione operaia quale questione sociale dell’epoca (gli operai erano i nuovi poveri) – Giovanni Paolo II avverte la necessità di indicare la mondo la nuova questione sociale:”Come un secolo fa a essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti della persona del lavoratore, così ora, quando un’altra categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente con immutato coraggio di dare voce a chi non ha voce…Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati” (E.V.,p.5).
Analogamente, Madre Teresa di Calcutta testimoniò la centralità sociale della vita nascente ponendola come condizione ineludibile per avere la pace. Nel ricevere il Nobel per la Pace (Oslo, 1979), nel parlare all’ONU (New York, 1985) e alla Conferenza mondiale su popolazione e sviluppo (Il Cairo, 1994), definì l’aborto “il più grande distruttore della pace”.
Non è certo la singola madre che interrompe la gravidanza – e che è spesso lasciata in una solitudine angosciante – a mettere in pericolo la pace, ma piuttosto l’accettazione dell’aborto come diritto, conquista di civiltà e di progresso.
La questione della vita agli albori non è pertanto una questione di coscienza, come molti in buona fede affermano. Sarebbe come affermare che la pace o la questione operaia sono questioni di coscienza!
La questione della vita umana è questione di GIUSTIZIA, attinendo a diritti umani fondamentali, per di più riconosciuti dalla stessa Costituzione (art.2) e ribaditi dalla Corte costituzionale (v. per es. sentt. 27/75 e 35/97).
Anche per chiedere quella GIUSTIZIA ci troveremo a Roma il 21 maggio! Essere in molti è decisivo, perché solo un vasto popolo che non si rassegna e costruisce opere e cultura per la vita ne testimonia il valore incommensurabile.
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