Dal genere percepito alla specie: di corsa nell’abisso del non senso

Oltre al principio di “identità percepita” e slegata da ogni oggettività biologica, sta prendendo sempre più piede nel mondo un nuovo tipo di identità: l’identità di specie, cioè persone che non si identificano con la specie umana.
Gandolfini parla ad una conferenza

di Massimo Gandolfini

Nasce a Roma il 31 agosto del 1951 Nel 1977 consegue la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano con il massimo dei voti e lode. Nel 1981 si specializza in Neurochirurgia, sempre a Milano, e nel 1991 in Psichiatria, presso l’Università Statale di Brescia. Dal 1997 dirige il Dipartimento di Neurochirurgia-Neurologia di un ospedale bresciano. Fa parte del Cammino Neocatecumenale. Padre di 7 figli adottati. Presidente dell’Associazione Family DAY.

26 Ottobre 2023

Pubblichiamo per gentile concessione del quotidiano “La Verità”

Il nucleo centrale dell’ideologia gender si può riassumere in poche parole: una persona di sesso maschile o femminile si può percepire di “genere” diverso dal genere determinato dal sesso, maschio o femmina, e scegliere per sé una “identità di genere” nuova, entro una lista che va arricchendosi di giorno in giorno. Eravamo partiti, negli anni 70’/80’, dai cinque generi “storici”, LGBTQ, e ora il menu ne prevede un’ottantina circa. Per questo anche l’acronimo LGBTQ è stato rivisitato, aggiungendovi un “+” che lascia la porta aperta ad ogni altra possibilità.

Assumendo, dunque, il medesimo principio di “identità percepita” e slegata da ogni oggettività biologica, sta prendendo sempre più piede nel mondo un nuovo tipo di identità: l’identità di specie, cioè persone che non si identificano con la specie umana, ma si percepiscono appartenenti a varie e diverse specie animali non umane. Purtroppo non si tratta né di una barzelletta né di uno scherzo. Basta vedere quanto è accaduto poche settimane fa a Berlino, riportato dal New York Post, ove presso la stazione di Potsamer Platz, si sono radunate circa mille persone che rivendicavano il loro “diritto civile” di identificarsi ed essere socialmente riconosciute come animali diversi, per lo più cani e gatti. Ovviamente i partecipanti hanno sfoggiato vestiti e maschere adeguati alla specie scelta, facendo udire la propria voce abbaiando, ululando, miagolando e digrignando i denti. Molti, non tutti, muovendosi a quattro zampe. La manifestazione è stata organizzata dall’ associazione “Canine Beings” (Essere Cani) che ha proseliti sparsi un po’ in tutto il mondo.

Si tratta di un fenomeno sociale, diffuso soprattutto fra persone giovani e adolescenti, chiamato “therians”: persone che sostengono di essere spiriti animali, intrappolati in un corpo umano. Per liberarsi da questa “disforia di specie”, ricorrono a vari mezzi, come indossando maschere feline o canine, muovendosi a quattro zampe, mangiando da una ciotola direttamente con la bocca, dormendo in giardino dentro una cuccia, abbaiando o miagolando …. Questi non vanno confusi con gli “otherkins”, che sono persone che percepiscono dentro di sé la presenza di esseri inumani, come elfi, sirene, vampiri et similia. Quella di Berlino è stata una grande manifestazione pubblica, ma eventi simili – più contenuti numericamente – vengono segnalati un po’ dappertutto, soprattutto Inghilterra, USA e Giappone. Con casi speciali divenuti iconici, come quello dell’ingegnere Toru Ueda, di Tokio, che ha speso 23.000 dollari per confezionare un vestito da lupo personalizzato, per sentirsi – finalmente – a suo agio; oppure quello di una ragazzina svedese che – percependosi renna – si alimenta da una mangiatoia, nel giardino di casa. Per quanto è dato sapere, in Italia casi di questo tipo sono pochissimi. Ciò detto, qualche riflessione è utile e doveroso farla, perché il dato socialmente e culturalmente rilevante non è tanto l’evidente dissociazione di personalità di queste persone (che compete alla medicina), quanto che esse rivendicano un riconoscimento sociale pubblico, cioè della legittimazione di un “diritto civile” legato alla persona, che una società democratica non può negare. I cartelli con gli slogan di Berlino, invocavano esattamente questo riconoscimento. In questa logica-illogica cultural-politica, la percezione di sé rappresenta l’identità stessa della persona, che – in quanto tale – deve essere accolta, accettata, difesa, protetta e riconosciuta.

Pena un ordinamento sociale basato su logiche di diseguaglianza, profondamente antidemocratico! Quando si nega l’esistenza di una verità oggettiva, naturale, intellegibile perché conoscibile, di riferimento, nulla più è vero e tutto è vero. Una verità che non si è dato l’uomo, ma che l’uomo ha conosciuto ed appreso attraverso il creato: negata questa – come sta accadendo ai nostri giorni – si innesca un meccanismo che possiamo definire di “autopoiesi”, cioè di costruzione di una verità soggettiva arbitraria, che diventa realtà incontestabile in quanto relativa ad ogni singolo individuo, e che conduce (e sta conducendo) al caos sociale, civile e morale. In questo drammatico e prometeico sforzo che l’uomo di ogni epoca – ma in particolare l’uomo del XXI secolo, con un bagaglio tecnologico enorme a disposizione, impensabile solo pochi anni fa – compie per diventare creatore, dismettendo gli abiti della creatura, sta conducendo in un abisso di non-senso, proprio di chi crede di poter vivere “bene”, quando ogni regola, ogni limite, ogni verità possono essere cancellate.

Rincorrendo sé stesso, cerca di diventare altro da sé, negando ogni regola e ogni realtà, fino a rimuovere il concetto stesso di natura, annullando la propria stessa natura corporea: la percezione di sé soppianta la conoscenza e l’accettazione di sé. Non può che venirne infelicità, sofferenza e dolore, fino al delirio, come i fatti sopra descritti ci attestano. Diceva Blaise Pascal che l’uomo deve scegliere se vivere come se Dio ci fosse o come se non ci fosse, divenendo demiurgo di sé stesso. Ma è saggio scommettere sulla sua esistenza perché “se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla” (“Pensèes” 233, 1658)

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